La foto di copertina del suo nuovo album DISCOVER è significativa: in una distesa desolata di freddo e neve, il centro dell’immagine è lui con una coperta vivace che dà calore in quel panorama ghiacciato. Ed è la coperta, a mio parere, la voce di Zucchero; quella voce che è riconoscibile da chiunque, che emoziona e scalda l’anima da quarant’anni. Per il suo tour di presentazione dell’album Discover noi di Tuttoitalia, lo abbiamo incontrato al Kameha di Zurigo per un’intervista cordiale e piacevole che solo un artista come lui puo’ regalarci.
Zucchero hai fatto un ottimo lavoro e un bel regalo ai tuoi fans. Vorrei iniziare le domande partendo dal video di “The scientist” dei Coldplay. La tua voce canta “Tell me your segrets”: ci sveli, quindi, dove è stato girato il video e fatto il photoshooting? «In Svizzera! Sulle alpi bernesi sul più grande ghiacchiaio d’Europa, in un posto sperduto e magnifico dal nome impronunciabile! La scorsa estate abbiamo fatto un concerto proprio sul ghiacciaio e quindi lo abbiamo scelto anche per le immagini dell’album. E poi abbiamo girato anche sulle Alpi sopra Trento. La coperta viene dal Messico».
Molto probabilmente è lo Jungfraujoch. Diciamo che con questa domanda hai soddisfatto l’orgoglio sia italiano che quello svizzero. Passiamo alla rosa di canzoni che hai scelto per questo album. Partendo da Silent Night del 1818 all’ultima canzone con Bono del 2020, hai avuto una vasta scelta temporale, sicuramente non facile da selezionare: «Erano più di 500 titoli. Era da tempo che volevo fare un album così, ma non avevo tempo, ero sempre in tournée. Con la pandemia ho sfruttato l’occasione per dedicarmi a questo progetto per causa di forza maggiore. Nella selezione c’è dentro di tutto, dagli anni '60 ai giorni nostri. Poi, le ho dovute scremare perché ci sono canzoni che, per rispetto, non voglio toccare perché meravigliose così come sono, non mi permetterei di rovinarle. Altre perché l’arrangiamento non mi convinceva, altre ancora perché non si accordavano con la mia voce. Poi arrivi a scegliere 14 canzoni con la caratteristica che sei riuscito a farle tue, come se fosse un disco tuo, ma con canzoni di altri».
Tra queste canzoni o anche tra quelle della selezione inziale, c’è una canzone che, da subito, ti ha particolarmente colpito di cui hai pensato “mi sarebbe piaciuto scriverla”? «Tante! Ce ne sono tantissime. Ti posso dire, per esempio, A white shadow of Pale dei Procol Harum (cantata poi nella versione italiana de Senza Luce dei Dik Dik. NDR) che è una delle mie preferite di sempre. Alcune ballate meno famose di Joe Cocker hanno delle melodie struggenti e sono straordinarie».
Nell’elenco dei titoli, c’è anche Fiore di maggio di Fabio Concato. Mi sono soffermata a ricordarmi il testo e le musiche che non sentivo da diverso tempo e ho capito che l’avevi inserita perché è una canzone bellissima, non è così? «Ecco vedi! Te l’eri dimenticata! E’ per questo che l’ho inserita: una canzone con melodia e poesia notevole che non ha retto nel tempo il ricordo nel confronto di altri artisti come, per esempio, quelle di Battisti di cui ricordiamo ogni parola. Eppure la qualità è la stessa».
Quindi, a tuo parere, è meglio interpretare e riarrangiare una cover o improvvisare un inedito? «Sono due cose diverse. L’inedito ti manda a letto con il dubbio se le parole o quel passaggio musicale siano corretti, possano piacere e poi “Che Dio ce la mandi buona”. La cover c’è già».
Ma, in questo caso non ti viene il dubbio di modificarla troppo e pensare che non piaccia all’autore? «No, perché altrimenti ti limiti, devi essere libero altrimenti ti freghi da solo. La cover devi farla tua, non la devi rovinare, ma deve esserci un’impronta. Sai quante canzoni mie hanno riproposto e alcune mi sono piaciute, altre un po’ meno? Ma è accettabile. E poi è il pubblico che decide alla fine».
Per un artista del tuo calibro, quanto è gratificante avere l’entusiasmo da parte dell’autore quando gli proponi di fare una sua cover? «Tantissimo! Sentirsi dire da Bono che l’ho emozionato nella versione di Canta la vita che feci al Colosseo, durante il lockdown, è estremamente gratificante. Da questi grandi artisti che hanno scritto cose incredibili fa molto piacere».
Invece con chi ha meno esperienza ed è giovane come Mahmood mi immagino che, appena abbia sentito la tua voce al telefono, ti abbia urlato subito un “Si!” a prescindere da qualsiasi cosa gli avessi chiesto: «(ridendo) Con lui abbiamo inciso Natural blues. Lui l’ho scelto per il suo timbro vocale, ha una padronanza e una duttilità nella voce che mi ha impressionato e l’ho definito un cantante soul anche se il suo tipo di musica è di altro genere. Io lo vedrei bene a cantare canzoni di Al Green. Lui, in studio, quando mi ha visto è rimasto a bocca aperta».
C’è una certa soggezione nei tuoi confronti immagino: «Ma sai, ho 66 anni, sono 40 anni che faccio musica, qualcosa di buono credo di aver scritto. Insomma, sarei anche io intimido se fossi giovane e incontrassi Eric Clapton o Elton John».
Facendo una parentesi dal tuo album e riferendomi sempre ai duetti, volevo complimentarmi per il feat nella canzone con Van De Sfroos cantata in dialetto lombardo. Per questo motivo io, nel mio immaginario non mi stupirei di vederti seduto su una sedia a dondolo sotto un portico di New Orleans, non mi stupirei di vederti in un Pub a Dublino a bere Guinness con Bono, ma non mi stupirei neanche a vederti in trattoria a parlare dialetto in una provincia emiliana: qual è il tuo vero contesto? «Ma, in realtà, io sono tutto questo. Io vado nelle trattorie con amici da una vita e ci divertiamo ancora insieme, quando sono con Bono vado nei pub dietro l’hotel Clarence a Dublino e ho girato tanti video a New Orleans che amo tantissimo come nell’ultimo album Black Cat o Baila».
Questo fa di te un vip più umano, più avvicinabile rispetto a certi cantanti idolatrati, non credi? «Il mio pubblico non mi ha mai abbandonato per questo credo. Sono sempre stato me stesso e mi sono sempre dato tanto, senza strategie per essere inarrivabile. Vado dove c’è da suonare, sia per presentare le mie canzoni che per riconoscenza verso i miei fans, ma non so se è un bene o un male essere considerato un divino oppure no. Se Mina facesse un concerto adesso tutti andrebbero a vederla perché ha scelto di non presentarsi più in pubblico. Farebbe sold out come lo farebbe Celentano. In questo modo si crea questa aura di leggenda e del carisma del cantante. Alcuni artisti scelgono di non mostrarsi, altri, come me, fanno il contrario; non so cosa sia giusto o sbagliato. Ho un pubblico fedele sia in Italia, sia in Svizzera ma anche in Inghilterra dove per un italiano è difficile affermarsi. Questo lo devo anche al rapporto con gli artisti con cui ho collaborato che dura da tanto tempo, da Pavarotti a Sting a Brian May. Penso che questo mio modo di essere, appaghi senza chiedermi se sia meglio essere presenti o farsi desiderare. Alla fine io, in fondo, mi limito a vivere di musica».
Il tempo dell’intervista è scaduto. Ricordiamo che la prima intervista di Tuttoitalia fatta ad un cantante italiano, è del 2008 ed è stata fatta proprio a Zucchero (in calce riproponiamo la video-intervista con Zucchero del 2008). E come non potergli confermare che lui, con umiltà, disponibilità e un rarissimo talento, in tutti questi anni, l’aura di leggenda divina se l’è conquistata ugualmente? Ci vediamo al suo concerto domenica 5 giugno 2022 all'Hallenstadion di Zurigo.
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